“Pizza, sangue e videopoker”: in un libro la scalata della ‘ndrangheta a Vigevano e alla Lombardia. E la storia (vera) del vicequestore Giorgio Pedone

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Pizza, sangue e videopokerLo hanno scritto tre giornalisti – Andrea Ballone, Carlo E. Gariboldi e Simone Satta – e si intitola Pizza, sangue e videopoker – Come la ‘ndrangheta si è strutturata al Nord, da Vigevano in Lombardia (edizioni La Barriera). Racconta una storia, complessa e articolata, che per tanto tempo si è pensato potesse esistere solo al sud. E invece no, anche la provincia di Pavia, per quanto non si sia voluto vederlo per tanto tempo, è infiltrata. Forse ormai lo è al punto che, come racconta Giacomo Di Girolamo, è diventata una Cosa grigia (dal titolo del suo libro) dove l’infiltrazione non esiste più perché ormai uno stadio superato, un livello completato per passare al successivo.

Ma il merito del libro, per il quale è stato creato anche un blog, è quello di raccontare anche un’altra storia. È quella del vicequestore Giorgio Pedone, morto apparentemente suicida il 14 agosto 1991. Era nato a Foggia 53 anni prima e 14 li aveva trascorsi a Vigevano, dopo esserci arrivato il 1 febraio 1977. Per lui si approssimava il trasferimento, con la partenza per l’ufficio passaporti della questura di Trieste. Inoltre, prima della sua morte, i giornali avevano scritto non poco della presunta professione della figlia Gilda, descritta in termini troppo hard – si disse – perché un servitore dello Stato potesse sopportarlo. E invece Pedone, trovato nel cortile dell’abbandonata cascina Dojola, nel comune di Gambolò, a poca distanza distanza dal santuario del Crocifisso, potrebbe essere stato ucciso con un colpo di pistola alla fronte perché, da quasi dieci anni, indagava e mappava le mafie che avevano preso possesso di quel pezzo di territorio della Lombardia meridionale. Scriveva infatti il 5 marzo 1984:

Com’è noto in Vigevano fin dal 1965 si è insediata, fra gli altri nuclei di famiglie provenienti dalla provincia di Reggio Calabria anche quella facente capo a Giovanni Cotroneo, il quale in questi venti anni ha avuto maniera di consolidare la sua “autorità” attraverso una rete capillare di suoi conterranei venuti dal Sud in cerca di lavoro, ma disposti anche a ricambiare un piacere, qualora chi lo chiedeva era in grado di assicurare un minimo di guadagno, protezione e di rispetto

Il libro – realizzato con il contributo di Libera e di Coop Lombardia e i cui proventi andranno progetti di informazione e formazione alla legalità – è una lunga rievocazione di fatti di mafia che dal 1972 si consumano nel territorio di Vigevano. Tra questi il sequestro di Pietro Torielli, figlio di un noto industriale, l’omicidio nel 1983 di un autotrasportatore di Rosarno, Domenico Galimi, i delitti dell’anno successivo di Cono Caliò e di Biagio Manera. E ancora, nel 1985, l’assassinio del geometra Giovanni Battista Gragnolati.

È un bollettino di guerra che si snoda al pari all’insediarsi delle famiglie di ‘ndragheta, come quella dei Valle che, giunti a Vigevano, comprano case ed esercizi commerciali. In questa cittadina, in questo pezzo della provincia di Pavia, i clan arrivano ad essere una decina e non mancano nemmeno gli esponenti che appartengono alla criminalità e intanto sono stati iniziati alla massoneria nera, una promanazione di quel patto che a partire dal 1979 decolla in Calabria e che viene ben delineato dall’operazione Olimpia. È insomma un microcosmo, Vigevano. Un microcosmo che con tratti efficaci ricostruisce l’evoluzione di un fenomeno radicato nel tempo e che, al contempo, fa giustizia del lavoro e dalla vita di Giorgio Pedone.

3 thoughts on ““Pizza, sangue e videopoker”: in un libro la scalata della ‘ndrangheta a Vigevano e alla Lombardia. E la storia (vera) del vicequestore Giorgio Pedone

  1. La malavita al nord pensavano tutti fosse un fenomeno raro… invece persino nel regno della Lega gli amici di Cosa Nostra comandavano e facevano affari… vergogna! Questo libro è come una sigaretta, si fuma ma lascia un cattivo sapore in bocca e sulla coscienza. La verità è così.

  2. Roberto

    Si è una vergogna. Andrebbero riportati tutti al loro paese, con i treni merci. E farli stare lì a forza, per evitare che esportino la loro mentalità mafiosa.

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