Pentiti di niente: chi va a processo e chi no

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Carlo SaronioQuando la fase istruttoria dell’indagine viene chiusa e mentre si va verso le richieste di rinvio a giudizio, ci sono i primi personaggi che escono di scena perché non coinvolti nel sequestro e nell’omicidio di Carlo Saronio. Accade per esempio a Giuseppe Astore, l’uomo che presta al dirimpettaio Brunello Puccia il denaro per concludere un “affare” e che si vede tornare indietro la cifra nei tempi prestabiliti, non sospettando minimamente che quei movimenti economici avessero contribuito a ripulire il denaro del riscatto. E comunque nel suo caso si tratta di una cifra assolutamente marginale dato che una fetta consistente del maltolto, 180 milioni di lire, viene invece destinata a Domenico Papagni e Pietro Cosmai, ben più professionali in operazioni del genere.

Viene prosciolta con formula piena anche Brunilde Pertramer, all’inizio incriminata per associazione a delinquere perché si era creduto che l’elenco più volte citato fosse una lista di persone da rapire (tra cui Saronio) e invece i nomi riguardavano persone disposte a ospitare compagni senza chiedere, né pretendere, nulla. Viene presentata richiesta di proscioglimento (poi respinta e così vengono rinviati a giudizio) anche per Luigi Carnevali e Ugo Felice, imputati per sequestro e omicidio: le banconote in loro possesso derivavano sì dal sequestro del giovane ingegnere, ma forse non avrebbero saputo nulla dell’origine del denaro.

Che la prossima volta stiano più attenti e sospettino di chi mette loro in mano pezzi di grosso taglio, soprattutto se di solito è gente con scarse e dubbie fonti di sostentamento. Ufficialmente fuori dall’indagine è anche Vincenzino Ersilio, il convivente di Maria Cristina Cazzaniga, che ha sempre negato di conoscere tutti i movimenti della donna e di non aver avuto ragioni per credere che facesse parte di formazioni sovversive.

Dritti verso il processo invece finiscono Carlo Fioroni, Giustino De Vuono, il calabrese noto con il soprannome di “scotennato”, Carlo Casirati, Alice Carobbio, Gioele Bongiovanni, Anna Mazzau, Rossano Cochis, Enrico “Micio” Merlo, Brunello Puccia, Alberto Monfrini, Giovanni Mapelli, Maria Santa Cometti, Gennaro “Ciccio” Piardi, Domenico Papagni, Pietro Cosmai, Franco Prampolini e Maria Cristina Cazzaniga. Per questi ultimi due, malgrado i tentativi di Fioroni di scagionarli almeno delle accuse più gravi, si ritiene infatti che fossero pienamente consapevoli di ciò che facevano nel momento in cui avevano accettato di riciclare il denaro in Svizzera per una serie di ragioni: la ragazza non solo aveva ospitato a casa propria Casirati e Carobbio, ma aveva fornito loro informazioni per falsificare i documenti con identità esistenti e relative referenze; inoltre in un altro episodio aveva sottratto a Silvio Tassan Solet, suo coinquilino, il passaporto per creare un documento falso e aveva aiutato Fioroni a rendersi irreperibile dopo le perquisizioni a casa Pertramer-Strano.

Dunque agli inquirenti riesce difficile pensare che Maria Cristina Cazzaniga fosse solo una pedina inconsapevole del piano più ampio ordito intorno al fatto che le viene contestato dopo l’arresto a Lugano. Inoltre, dopo il sequestro Saronio, fu sempre lei ad accompagnare Fioroni con l’auto del cognato a Treviglio, la casa della famiglia di Alice Carobbio, dove successivamente verranno prelevati i 67 milioni da lavare oltre confine. In questo caso Fioroni aveva soltanto bisogno di parlare con Casirati senza essere riuscito a incontrarlo, ma c’è una coincidenza temporale che lo smentisce: dopo quel mancato incontro, alla famiglia Saronio sono state inviate le informazioni sulla fotografia conservata in camera da letto da Saronio e sulla cagnetta di Bogliasco, quelle stesse informazioni che dovevano costituire la prova che l’ingegnere era ancora vivo. Infine, dopo la sparizione di Saronio, Fioroni non può continuare a restare da don Beltramini: il rischio che quest’ultimo intuisca la verità dietro il sequestro deve apparire concreta al bandito e il nuovo alloggio gli viene trovato da Maria Cristina Cazzaniga.

Franco Prampolini invece, nel periodo in cui Casirati, De Vuono, Fioroni e Casirati lavorano per mettere a punto il sequestro di Carlo Saronio, accompagnò lo stesso Fioroni in varie occasioni in una pizzeria di viale Padova, dove avvenivano gli incontri della banda. Fioroni – sostiene davanti ai magistrati – ci si faceva portare da Prampolini perché, uno tra i pochi nel giro che frequentava, aveva un’automobile. Questo, oltre a essere falso, risulta anche implausibile agli inquirenti: implausibile appare infatti che Prampolini non avesse mai effettuato un collegamento tra quegli incontri, i personaggi che si davano convivio in quel locale milanese e gli accadimenti successivi. Peraltro le cronache dei giornali di quelle settimane avevano raccontato della scomparsa di Carlo Saronio, facoltoso amico di Fioroni, e dei successivi contatti dei rapitori: dunque come non sospettare nel momento in cui si materializzano 67 milioni da riciclare e le persone che li maneggiano sono sempre le stesse?

Le stesse peraltro del giro che gli presterà la fiamma ossidrica per praticare un foro nella bombola di metano della Fiat 124 che avrebbe guidato alla volta di Lugano. L’operazione era stata effettuata con la complicità di un meccanico compiacente di Reggio Emilia e presente quel giorno – secondo quanto affermato prima da Vittorio Campanile e poi da Carlo Fioroni nel 1979 una volta rinchiuso nel carcere di Matera – ci sarebbe stato anche Alceste Campanile, un giovane che dal Fronte della Gioventù era passato poi a Lotta Continua per spostarsi successivamente verso posizioni più radicali. Campanile verrà assassinato il 12 giugno 1975 aggiungendo per lungo tempo un mistero nel mistero.

Tornando alla bombola della Fiat 124, qui dentro è stato nascosto il denaro da portare in Svizzera. Ma ci sarebbe anche dell’altro che emergerà con chiarezza durante un’udienza del processo: il 4 gennaio 1979, infatti, viene prodotta dall’accusa un’intercettazione telefonica disposta dalla procura di Reggio Emilia. A parlare sono due donne, Loredana Beretti e Paolina Ischia, convocate poi come testi, e si raccontano quanto appreso da una terza donna, Maria Luisa Jotti: lei infatti sostiene che Prampolini conosceva la provenienza del denaro portato in Svizzera, aggiungendo che Saronio era stato ucciso perché aveva visto in volto Fioroni.

Infine respinte per tutti le richieste di libertà provvisoria per il timore che gli imputati, una volta fuori, possano reiterare il reato. Quando Maria Cristina Cazzaniga è già in carcere, infatti, viene acquisito agli atti un telegramma che manda a Claudio Carbone, appartenente ai Nuclei Armati Proletari: “Il mitra di Martino” scrive Cazzaniga, “è già stretto tra le braccia di mille proletari. Onore al compagno Zicchitella caduto combattendo per la libertà e il comunismo”. No, niente libertà provvisoria. Le accuse con cui vengono rinviati a giudizio i diversi imputati sono ovviamente differenti e così le responsabilità ipotizzate a loro carico. I capi più gravi sono a carico di Fioroni, Cazzaniga, Prampolini, De Vuono, Carisati, Carobbio e Piardi, che sono accusati di sequestro di persona, omicidio volontario e occultamento di cadavere; Cazzaniga di furto di passaporto effettuato sfruttando il rapporto di ospitalità e amicizia con Antonio Angeloni; Fioroni anche di aver ricevuto quel passaporto e di essersi procurato un modulo per carta d’identità e per una patente svizzera: con essi avrebbe falsificato i propri documenti intestandoli a Pierluigi Bordoli e ad Adriano Balemi, entrambi inesistenti.

De Vuono finisce sul banco degli imputati anche per possesso illegale di una pistola Smith & Wesson calibro 38 Special (questa portata in giro abusivamente), una Beretta calibro 7.65, una P38 calibro 9 lungo, una SIG 7.65 parabellum e un migliaio di proiettili. In aggiunta è accusato di resistenza a pubblico ufficiale per essersi scagliato contro il commissario di pubblica sicurezza Achille Serra e i tre poliziotti che lo accompagnavano e di detenzione di documenti falsi che si era fatto da solo intestandoli a Dario Morandotti e a Franco Rossi. Documenti falsificati l’accusa anche per De Vuono, Ciurria e Bongiovanni mentre per Ciurria sola c’è anche l’aver fornito le generalità della sorella Rosanna Maria invece che le sue. Bongiovanni avrebbe inoltre aiutato De Vuono a sfuggire agli investigatori quando già era ricercato per omicidio e rapina procurandogli anche i documenti che poi gli vengono trovati addosso.

Ugo Felice e Luigi Carnevali, malgrado le considerazioni formulate in istruttoria, si trovano comunque davanti al giudice per rispondere del possesso delle banconote da 100 mila lire provenienti dal riscatto Saronio e per aver mentito sulla loro provenienza: il primo dice infatti di esserne venuto in possesso giocando d’azzardo in una bisca clandestina, mentre Carnevali avrebbe aiutato Piardi non collegando a lui la provenienza del biglietto. Giovanni Mapelli, Alberto Monfrini e Brunello Puccia sono invece accusati di aver aiutato Casirati e Piardi ad assicurarsi il riscatto e il primo di essersi poi dato alla fuga mentre Maria Santa Cometti ed Enrico Merlo di aver ricevuto una carta d’identità sapendo che questa proveniva da un furto messo a segno nel comune a Cernusco sul Naviglio nel marzo 1973, di averla contraffatta facendola risultare emessa dal comune di Bergamo a nome di Pierina Tassarin e applicandovi la fotografia di Cometti.

Inoltre a carico della coppia c’è anche quel versamento di 15 milioni di lire su un conto corrente del Banco di Sicilia con denaro del riscatto, mentendo sulla provenienza e sulla destinazione del denaro. Merlo singolarmente è accusato anche di aver ricevuto un modulo di carta d’identità proveniente sempre dal furto di Cernusco, di averlo alterato facendolo risultare proprio, ma a nome di Guido Faccioni. Inoltre ne avrebbe passato a Piardi un altro e insieme i due avrebbero poi iniziato a usarli per esempio quella volta in cui erano scesi all’Hotel Calalunga sull’isola della Maddalena nell’estate 1975.

Prosegue la lista delle accuse. Anna Mazzau mente sui suoi rapporti con Rossano Cochis, mentre Pietro Cosmai e Domenico Papagni si sarebbero occupati di far girare una fetta sostanziosa del riscatto, più di 153 milioni. Infine che il giudice tenga conto della recidività di De Vuono, Casirati, Carnevali, Felice, Merlo e Monfrini.

Insomma, una vera e propria organizzazione criminale che comprende politici e comuni, che ha un passato giudiziario a leggere le fedine penali di molti degli imputati e che è in grado di rapire, uccidere, far scomparire il cadavere dell’ostaggio per proseguire con le trattative e farsi consegnare il riscatto senza preoccuparsi del fatto che l’occultamento del corpo di Saronio avrebbe costituito un’aggravante. Inoltre, una volta estorti i quattrini alla famiglia della vittima, iniziano a frazionare l’importo, gli fanno prendere vie differenti per riciclarlo, mentre una parte del denaro lo usano per auto nuove e un po’ di bella vita sulle coste del Tirreno o sui laghi lombardi. Di tutto questo, manco a dirlo, non una moneta arriva alla “causa”. Sarà perché Fioroni si fa beccare subito con la sua percentuale più qualcos’altro.