Un incidente provocato da “cause non accertate”

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Foto di Terry MunDi questa vicenda ne parlano l’ex radicale Massimo Teodori e la commissione d’inchiesta sulla P2, di cui Teodori ha fatto parte. Ma ogni tanto viene ripresa anche altrove. Come ha fatto qualche tempo fa Avvenimenti Italiani attraverso il maresciallo di artiglieria Paolo Messina e il giornalista Michele Gambino, o lo scrittore Giuseppe Genna con il suo romanzo Dies Irae, oltre ai giornalisti e agli storici che si sono occupati dei fattacci più recenti della Prima Repubblica. È la storia di Salvatore Florio, un colonnello della guardia di finanza morto con il suo autista il 26 luglio 1978 in un incidente stradale provocato “da cause non accertate”. Così si scrisse sulle relazioni di servizio, ma Miriam Florio, la moglie da cui l’ufficiale ha avuto due figli, ha sempre cercato di dire che, forse, non proprio di fatto accidentale si trattava.

Se capita di non voler accettare la morte improvvisa e fortuita di un congiunto e di voler per forza cercare motivazioni che risiedono altrove, a far riflettere su questa vicenda dovrebbero essere i trascorsi del colonnello. Catanese d’origine, quando muore non ha nemmeno sessant’anni e il suo nome è legato a inchieste di peso tutt’altro che marginale, come quelle sulla loggia P2 di Licio Gelli (i cui dossier però finiranno per inabissarsi e riemergere solo dopo le perquisizioni aretine del 1981), lo scandalo dei petroli e il fascicolo M.Fo.Biali, progetto che prevedeva forti legami tra un faccendiere romano, Mario Foligni, e la Libia di Muammar Gheddafi per la creazione di un fronte politico che si opponesse alla Democrazia cristiana. Ma in tutto questo di non secondario scenario è il lavoro che conduceva l’agenzia OP di Mino Pecorelli.

E le attività investigative condotte fin dal 1974 sull’ex venerabile al colonnello avevano creato non pochi problemi all’interno delle fiamme gialle: Florio era entrato in conflitto con il generale Raffaele Giudice, nominato a sorpresa comandante generale (quando verrà rinvenuto l’elenco degli iscritti, si scoprirà che era affiliato alla P2) e coinvolto più tardi nel secondo caso seguito sempre dal colonnello. Che aveva resistito anche alle lusinghe che volevano attirarlo nella rete di Gelli: lui rifiutò, come il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (anche se la vicenda dell’ufficiale dell’Arma ucciso a Palermo il 3 settembre 1982 contiene una serie di differenze), e le ripercussioni sulla sua carriera non si fecero attendere. Trasferimenti, difficoltà sempre maggiori con l’amministrazione e in particolare con il capo di Stato maggiore, il colonnello Donato Lo Prete, e il suo pari grado Giuseppe Trisolini (altri piduisti). Infine quella frase, pronunciata un mese prima di morire di fronte a Giudice che gli aveva imposto un’ispezione: «Le dirò presto tutto quello che sono venuto a sapere su di lei».

L’incidente in cui perdono la vita Salvatore Florio e il suo autista avviene all’imbocco del casello autostradale di Carpi: condizioni meteorologiche perfette, il conducente riposato, l’impossibilità che il traffico avesse innescato lo sbandamento dell’automobile. Chi assistette, riferì che il mezzo si era avvicinato con tranquillità alla barriera e che alla ripartenza scartò due volte di lato e finì contro il guardrail. E se gli accertamenti vennero eseguiti dalla polizia stradale, da parte della guardia di finanza non ci fu alcuna insistenza affinché si capisse se l’ipotesi del sabotaggio fosse così balzana o almeno potesse essere presa in considerazione. “Cause non accertate”, dunque, sembra una dicitura che potrebbe star bene a molti.

Quattro anni più tardi, i radicali Mauro Mellini, Maria Adelaide Aglietta, Emma Bonino e Roberto Cicciomessere presentano un’interpellanza alla presidenza del consiglio dei ministri e ai ministeri dell’interno, della finanza e della difesa: chiedono che si indaghi sulle minacce che Florio avrebbe ricevuto da Licio Gelli. E Miriam Florio intanto ha dichiarato che del fascicolo riservato che suo marito portava con sé il giorno della morte sono rimasti non più di tre o quattro fogli mentre prima era ben più nutrito. A questo punto si innesta un altro fatto: il 5 giugno 1981 si suicida, con la pistola d’ordinanza, il capitano delle fiamme gialle Luciano Rossi. Un suo rapporto del 1974, uno di quelli scomparsi e che proprio da Florio erano stati ordinati, era stato ritrovato a Villa Wanda, la residenza di Gelli. L’8 giugno di quell’anno a questo proposito avrebbe dovuto essere interrogato in procura a Milano, che seguiva l’inchiesta sulla P2. Peraltro, il giorno in cui Rossi si spara era stato dal suo legale che gli aveva confidato i suoi sospetti sulla morte non accidentale di Florio.

A questo punto ci sarebbe stato di che indagare. Ma Milano si vide avocare l’indagine sulla P2, che passò alla procura di Roma, e di lì finì con sbiadite conseguenze per i vari personaggi dell’era gelliana.

Per saperne di più

(Questa recensione è stata pubblicata sul terzo numero della rivista Tracce di eternità. Per scaricare in pdf la pubblicazione: questo è il link)

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