Giorgio Ambrosoli a trent’anni di distanza

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  • Giorgio Ambrosoli, ucciso per aver fatto «politica in nome dello Stato», Orazio Carabini sul Sole 24 Ore:

    Era stato nominato commissario della Banca privata italiana, cuore dell’impero di Sindona, nel 1974, dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli. Era un professionista milanese, non molto in vista, e aveva già gestito la liquidazione della Sfi, una finanziaria vicina a Giuseppe Pella, un pezzo grosso della Dc.
    Cresciuto in un ambiente conservatore, aveva militato nell’Unione monarchica e nella Gioventù liberale. Chiamato a dipanare la matassa del crack Sindona, non fece sconti a nessuno. Il finanziere siciliano era protetto da Giulio Andreotti e dalla sua corrente Dc, aveva stretti legami con il Vaticano dove, all’epoca, imperversava Paul Marcinkus con il suo Ior, con la mafia, con la massoneria più torbida, quella P2 di Licio Gelli che fu scoperta solo parecchi anni dopo. Ma Ambrosoli non si fece mai intimidire e completò il suo lavoro nonostante gli avvertimenti e le minacce.

  • Della vicenda se ne può leggere nei libri Un eroe borghese di Corrado Stajano e Qualunque cosa succeda di Umberto Ambrosoli. E vederne nel film di Michele Placido che si intitola come il volume di Stajano, qui la scheda.

    4 thoughts on “Giorgio Ambrosoli a trent’anni di distanza

    1. matteo

      Nel film c’è una scena molto toccante in cui Ambrosoli dice al maresciallo Novembre: “Sto lavorando per lo stato e mi sto accorgendo che lo stato ce l’ho contro”.
      O qualcosa di simile.
      Credo che sia quello che hanno pensato tutti coloro che si sono trovati a servire lo stato e di questo hanno semplicemente osservato le leggi.
      Io sono sempre più convinto che il potere in Italia sia gestito in modo criminale (a prescindere dai governi), la vicenda dell’avv. Ambrosoli è una delle ennesime conferme della mia convinzione.
      Non esiste uno stato e un potere “buono” che combatte un controstato “cattivo e corrotto”: il potere è gestito in modo e con metodi criminali che vanno contro le leggi stesse dello stato e che lo stato dovrebbe far osservare anche con la forza.

    2. Matteo, sono totalmente d’accordo con te. In questo periodo sto finendo di scrivere la storia di Pasquale Juliano che si trovò a combattere da solo la cellula ordinovista padovana e ne fu fatto a pezzi. La differenza – non marginale, me ne rendo conto – è che rispetto ad Ambrosoli non morì, ma ne ebbe la vita distrutta.

      Juliano, quando nel 1996 venne chiamato da Guido Salvini a Milano per piazza Fontana, disse semplicemente a un giornalista dell’Avvenire: «Non voglio certo quel monumento che mi promise Restivo, ma almeno qualcuno potrebbe ricordarsi di me e dirmi: “Juliano, ci scusi, lei aveva ragione”».

      La sua “colpa” era stata quella di fare ciò che doveva fare un poliziotto, un’indagine che portasse a sventare un pericolo. E quel pericolo – anche se nell’estate del 1969 Juliano non lo sapeva ancora, intuiva solo qualcosa di “imminente” – erano le bombe del 12 dicembre.

    3. matteo

      Conosco anch’io un po’ la storia di Juliano.
      Mi sembra che fu accusato di aver seminato indizi falsi a carico di M. Fachini.
      Un personaggio “minore” ma emblematico come tanri di cui è piena la storia di quegli anni.

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